Terra dei fuochi, quelle piante che ripuliscono dai veleni

Un disastro che in parte può diventare risorsa. Ci credono tanti attivisti, studiosi agricoltori e anche qualche amministratore: molti terreni della terra dei fuochi possono essere bonificati a costi bassissimi e trasformati in volano economico. Come? Coltivandoli con piantagioni, come la canapa, capaci di isolare le sostanze nocive. «La canapa è una pianta iper accumulatrice e cioè che riesce a chelare i metalli pesanti presenti nel terreno fissandoli nella propria radice e nella propria e nella propria foglia lasciando invece la fibra immune» - spiega Enzo Tosti uno dei leader dei comitati “terra dei fuochi” - «Dalla canapa si possono fare tante cose: la carta, i mattoni, i tessuti... Si potrebbero rilanciare economicamente i nostri territori, creare occupazione. Ovviamente se tutta la filiera resta qui».

Un danno enorme per i clan che hanno già fiutato da tempo l’affare del momento, quello delle bonifiche e che come abbiamo visto nella prima parte della nostra videoinchiesta già da tempo si preparavano ad intervenire cercando di accaparrarsi i brevetti più innovativi sperimentati dalle università per potersi accreditare presso la Regione Campania. Hanno guadagnato distruggendo e vogliono guadagnare risanando o fingendo di risanare. L’allerta è alta tanto che su sollecitazione del commissario alle bonifiche Mario De Biasio le aziende che hanno partecipato al bando per la bonifica di una delle discariche più grandi e avvelenate del territorio, la Resit di Giugliano, sono ora sotto la lente di ingrandimento della Prefettura e degli investigatori essendo emerse anomalie nella gara e cioè ribassi troppo elevati e il coinvolgimento in alcune indagini di alcune di esse. Questioni che oltre a problemi di regolarità pongono anche questioni di opportunità sulla scelta delle ditte che dovranno occuparsi di bonifiche.

Ma quanti soldi ci vogliono realmente per le bonifiche? Bastano quelli promessi dal governo? «Assolutamente no. Ma bisogna intendersi sul termine bonifica – chiarisce il commissario per le bonifiche Mario De Biasio - Sono gare per la messa in sicurezza di emergenze perché c’è un rischio potenziale e incombente di disastro ambientale. Non si tratta di bonifiche. Potrei sbagliarmi ma intanto non mi pare che ci siano soldi nel decreto ad hoc. Anzi per coprire il decreto mi era stato chiesto di mettere a disposizione 3 o 4 milioni di euro dei miei fondi. Si rimanda all’utilizzo dei fondi europei ma allo stato non sono previsti interventi per le bonifiche nelle direttive europee. Solo per la Resit, l’Ispra ha valutato per la rimozione e smaltimento di 900 mila tonnellate di rifiuti la necessità di impiegare 200 milioni. Per il consulente della procura di Napoli che parla di confinamento fisico dei rifiuti ( un sarcofago alla Cernobyl) la stima è di 150 – 160 milioni di euro. Io invece per gli interventi nell’intera area di Giugliano e nel laghetto di Castelvolturno ho allo stato, complessivamente 34 milioni di euro. Altra storia è la bonifica dei suoli dove si possono sperimentare le bioremediation (un insieme di tecnologie di depurazione del suolo che utilizzano microorganismi naturali o ricombinanti per abbattere sostanze tossiche e pericolose attraverso processi aerobici e anaerobici ndr) che sono a costi accessibilissimi. Si può piantare la canapa o altre piante e risolvere con investimenti piccoli un problema enorme».

«Il clamore sulla terra dei fuochi – avverte il giudice Raffaello Magi, estensore della sentenza Spartacus contro il clan dei casalesi - i riflettori sul dolore della gente che finalmente viene alla luce, potrebbe avere un oscuro rovescio della medaglia e prestare il fianco alla creazione dell’ennesima emergenza per distribuire soldi, favorire speculazioni e sprechi, stabilire controlli più blandi che permetterebbero l’infiltrazione delle aziende della camorra». In Campania di sprechi sulle bonifiche ce ne sono già stati: un caso clamoroso è quello dell’area Italsider di Bagnoli che formalmente sarebbe già stata bonificata ma sostanzialmente, secondo gli atti di un’inchiesta della procura di Napoli, sarebbe più inquinata di prima e quindi va bonificata di nuovo. «Dopo la chiusura dell’Italsider a Bagnoli dovevano sorgere attività a carattere non residenziale. - racconta Antonio Musella giornalista e attivista di “Stop biocidio” - I suoli però risultavano inquinati a macchia di leopardo. Nel 2006 e poi nuovamente nel 2008 la “Bagnoli futura”, sotto la regia dell’ex direttore generale del ministero dell’ambiente Gianfranco Mascazzini, per usufruire di fondi europei, decide di fare due varianti di bonifica. Scavando vengono trovati dei rifiuti pericolosi, delle morchie oleose, frutto dell’attività industriale precedente. Ma anziché stoccarli, decidono di mescolarli al terreno e questa mistura viene disseminata in tutta l’area. Il risultato è che quella che prima era un’area inquinata a zone, ora è omogeneamente inquinata.

Adesso l’autorità giudiziaria ordina perentoriamente un ulteriore bonifica che avrebbe dei costi enormi». A partire da questa esperienza e dalla gestione delle altre emergenze gli animatori di Stop Biocidio, Fiume in Piena e altri comitati rivendicano un ruolo nell’indirizzo delle operazioni. «Non c’è soltanto una presa di coscienza sul fronte della salute – aggiunge Giuseppe Manzo, giornalista e attivista di Stopo biocidio - ma ci sono anche delle proposte che abbiamo presentato durante la manifestazione “fiume in piena”, 10 punti condivisi da un’intero popolo nella sua diversità, mamme, parrocchie, centri sociali, studenti nati negli anni novanta, quando cominciavano i primi commissariati per l’emergenza rifiuti e hanno vissuto solo l’emergenza. Un popolo che oggi non vuole subire le decisioni di altri, vuole essere protagonista, portare soluzioni, sedersi ai tavoli con ministero e regione per rivendicare queste proposte».

Articolo di Amalia De Simone